SEU intervista l'editor Giovanni D'Accurso 1

Qualche anno fa il gruppo di autori SEU (Scrittori Emergenti Uniti) aveva intervistato Giovanni D’Accurso, editor e titolare de Le Officine del Testo. Dalla lunga conversazione erano emersi tematiche e spiegazioni ancora valide per inquadrare e descrivere la figura dell’editor, i suoi compiti, le responsabilità e il tipo di rapporto che si crea con l’autore.

Ringraziando ancora il nostro gruppo di amici e scrittori, riproponiamo sulle nostre pagine la loro piacevole intervista.


Seu intervista l'editor Giovanni D'Accurso

DIALOGO CON L’EDITOR GIOVANNI D’ACCURSO

Com’è nata l’idea di aprire questa agenzia e sei soddisfatto dei risultati che hai raggiunto nel tempo?

Come spesso accade, tutto nasce da una passione, da una buona dose di impegno e di coraggio (per aprire un’attività nel 2013 e mantenerla viva in questi anni un po’ ne serve) e da una serie di fortunati eventi.

Gli studi in filologia e linguistica italiana mi hanno fornito un’ottima base di partenza, ma ciò che mi ha garantito di imparare al meglio questa professione è stata ovviamente la pratica. Ho iniziato a lavorare per Agenzie letterarie, Agenzie di servizi editoriali e case editrici. Poi per un po’ di tempo ho cambiato strada e ho lavorato per l’Ufficio stampa di Iveco. All’epoca non era un buon periodo per l’azienda, il mio contratto scadeva in concomitanza con l’inizio di un lungo periodo di cassa integrazione e non potevano quindi offrirmi un rinnovo. Questo evento, che all’epoca mi sembrava drammatico, in realtà mi ha consentito di mettere in pratica il progetto delle Officine del Testo. Era pronto già da un po’, ma l’idea di aprire un’attività a tutti gli effetti non mi faceva dormire tranquillo. Oggi ringrazio invece quel mancato rinnovo, perché da oltre dieci anni le cose sembrano andare nella direzione giusta, l’Agenzia sta crescendo sia per numero di autori e di case editrici che ci contattano sia per numero di collaboratori.

Nel mondo editoriale non è semplice, c’è tanta competizione, tanti si improvvisano, tanti autori non sanno di chi fidarsi. Avere dei buoni collaboratori è una parte importante così come stabilire un buon rapporto con gli autori. Ti occupi un po’ di tutto o ci sono dei servizi che segui maggiormente?

Hai perfettamente ragione. La competizione e la concorrenza sono temi che spaventano ma che portano anche a migliorarsi e a cercare di offrire qualcosa di nuovo. Forse oggi la competitività in questo settore è aumentata rispetto a dieci anni fa e il fenomeno degli “improvvisati” o degli “appassionati” che si cimentano con poca esperienza e tanta imprudenza nelle professioni editoriali è, a volte, un guaio per tutti. Innanzitutto per gli autori, i quali tante volte ci confessano che il libro è stato già rivisto a pagamento ma che purtroppo il lavoro non è stato fatto bene, e infine anche per chi questo mestiere lo fa quotidianamente, aggiornandosi, studiando, sostenendo dei costi e cercando di offrire le soluzioni migliori. Un’esperienza negativa infatti può creare giustamente un po’ di diffidenza negli autori verso le agenzie che offrono questi servizi o verso le piccole case editrici. Queste ultime forse sono quelle che pagano maggiormente il conto ma, non mi stancherò mai di dirlo, oggi il vero lavoro di talent scout lo svolgono proprio i piccoli editori, assumendosi rischi maggiori degli editori più famosi (parlo ovviamente di editoria tradizionale). Per quanto riguarda il caso della mia Agenzia, supervisiono tutti i lavori e il mio campo è quello dell’editing, in particolare di testi letterari. Per la saggistica, in base ai temi, cerco di assegnare le opere agli editor con maggiori competenze. Sugli aspetti grafici mi affido totalmente all’esperienza degli illustratori, che elaborano il lavoro in accordo con il cliente. Il ghostwriting è un servizio invece che centelliniamo un po’, poiché richiede un grande sforzo di tempo, di ricerca e di elaborazione. Questo servizio preferisco mantenerlo a “numero chiuso”, per garantire buoni standard di qualità.

Per le piccole case editrici non è semplice sia avere un guadagno sia stare dietro a tutto il lavoro che c’è da fare, in un certo senso è un investimento affidarsi a qualcuno di esterno che tuttavia si può rivelare un valido aiuto. Quali servizi vi richiedono maggiormente gli editori?

In particolare richiedono servizi di correzione bozze, editing, impaginazione e alcuni anche la trascrizione di documenti cartacei per offrire una ristampa di opere o documenti di difficile reperibilità. In alcuni casi ho partecipato direttamente alle presentazioni degli autori o promosso le loro opere.

Sicuramente il lavoro che offriamo ha un’utilità per gli editori, che hanno in molti casi anche la necessità di delegare alcune funzioni e attività a terze persone. L’editore non è una figura che legge tutto il giorno i manoscritti, ma è un imprenditore a tutti gli effetti che deve pensare anche alla spendibilità dei propri prodotti, alla promozione, alla presentazione, alle fiere, deve mantenere i rapporti con gli autori, con i clienti e i fornitori e pensare a far quadrare i conti.

Di certo il nostro lavoro non è gratuito e contribuiamo a creare costi nel grande circuito editoriale che porterà alla realizzazione del libro definitivo, ma in ogni azienda talvolta è necessario delegare e affidarsi a qualcuno che, in modo professionale e con delle garanzie, alleggerisca il carico degli impegni garantendo la qualità che l’editore richiede.

Immagino che tra i vostri clienti ci siano anche autori che hanno deciso di seguire la strada del self-publishing, chi per scelta chi perché deluso dalle case editrici. Lo avverti questo desiderio di curare il prodotto e il marketing o c’è più la volontà di buttarsi nella mischia e magari di rimediare dopo? 

Devo dire che dieci anni fa la maggior parte dei clienti desiderava presentare il proprio libro quasi esclusivamente agli editori e voleva consegnare loro un manoscritto privo di errori e con una trama solida e messa alla prova sotto tutti gli aspetti, magari lavorando anche sul lato della spendibilità, mentre erano pochi quelli che avevano un progetto di self-publishing in mente. Diciamo che era visto più come un piano B o un’ultima spiaggia nel caso in cui gli editori non avessero dimostrato interesse per l’opera.

Oggi la tendenza si è un po’ invertita, almeno per quanto ci riguarda. La stragrande maggioranza degli autori con i quali lavoriamo conosce molto bene il servizio di self-publishing e le opportunità che può offrire, anche grazie a qualche caso letterario felice che è emerso recentemente. Molte spesso l’autopubblicazione viene ancora vista con sospetto dai lettori per via dei tanti prodotti scadenti che si trovano in commercio in assenza del ruolo di intermediazione svolto tradizionalmente dall’editore nelle case editrici, il quale garantisce (quasi sempre) standard di qualità alti selezionando le opere. Tuttavia cresce sempre più la consapevolezza che il proprio manoscritto va curato. Nessuno vuole comprare un vaso con delle crepe, e dal momento che le opere vengono messe in vendita bisogna offrire “prodotti” validi, nel rispetto di chi acquista ma anche per non danneggiare la propria autorevolezza e serietà quando si ricopre il ruolo di scrittore. Oggi i commenti sono un’arma a doppio taglio, talvolta svelano le debolezze di un’opera, facendo risparmiare soldi a tanti lettori, talvolta mostrano un eccesso di zelo e affossano dei testi su aspetti che in realtà non rappresentano debolezze ma caratteristiche stilistiche. Anche in questo caso, non dico niente di nuovo, consiglierei di prendere i commenti con le pinze. Non sempre chi critica ha le competenze per farlo e Internet, purtroppo, come è noto, non è sempre un luogo in cui trionfa l’educazione e l’oggettività.

 Visto che ti occupi di editing sai bene che non è facile lavorare a passo a passo con l’autore, soprattutto perché ciascuno vive questo momento in modo diverso: chi pronto a seguire ogni indicazione e con piena fiducia, chi timoroso che venga stravolto il suo lavoro, chi fa tesoro dei consigli ma mantiene le sue idee e chi ancora che si sente intaccato nel suo stile. Come lo vivi tu questo momento? Cosa consiglieresti agli autori indecisi sulla sua utilità?

Sarebbe molto utile poter visionare in anteprima qualche capitolo dell’opera, per rendersi conto del lavoro da fare e poterne discutere con l’autore. Talvolta è necessario un editing più invasivo, altre volte l’opera si presenta già in condizioni ottime. Discuterne è il primo passo, motivando con serietà ogni suggerimento.

I commenti di editing non dovrebbero mai essere arbitrari, ma contenere appunto dei suggerimenti, mettendo in chiaro cosa non funziona e, soprattutto, dovrebbero dare almeno un indizio su come sistemare un punto debole.

Incontro autori che non vorrebbero toccare niente, altri che mi chiedono quasi una riscrittura totale. Il punto è che occorre equilibrio e bisogna rispettare il principio che l’editor “fa fare ma non fa”, nel senso che non abbiamo la libertà di modificare il testo né di stravolgerlo.

I commenti a margine del testo devono essere convincenti, portare esempi, essere autorevoli, dimostrare l’errore, ma in molti casi restano dei suggerimenti che vengono poi sottoposti all’autore, il quale ha sempre l’ultima parola, almeno nel campo del self-publishing. Gli editori invece tendono a imporsi maggiormente nelle scelte contenutistiche (meno splatter, meno violenza, evitare l’uso di certi nomi e marche ecc.), ma non sempre.

Io consiglio sempre agli autori di richiedere una prova gratuita su un breve estratto della propria opera e di affidarsi a editor o agenzie in grado di lavorare con trasparenza, ovvero che mostrino il loro lavoro all’autore con gli strumenti messi a disposizione dai programmi di videoscrittura, come la funzione “revisioni e commenti” di Word. In questo modo ogni modifica sarà visibile e l’autore avrà la possibilità di approvarla o di rifiutarla. Inoltre, consiglio di affidarsi a persone che lavorano davvero in campo editoriale, disponibili a parlare con gli autori, reperibili nei giorni lavorativi, pronti al confronto e con molto tempo da dedicare alle opere.

Teniamo comunque presente che nemmeno l’editor è una macchina perfetta, per questo i suoi commenti devono essere accolti come suggerimenti ma non come dogmi. Per esempio un editor potrebbe consigliare una modifica che strizza l’occhio alla spendibilità editoriale, mentre l’autore persegue una scelta più sperimentale e artistica. Entrambe sono scelte valide, più o meno rischiose, ed è giusto in questo caso che sia l’autore a scegliere che strada seguire, in accordo anche con l’editore.

Hai mai pensato di essere anche tu un autore, di pubblicare qualcosa?

Credo che non esista editor che in fondo non sogni di diventare autore. Questo desiderio più o meno nascosto aiuta in qualche modo a identificarsi con gli autori emergenti e a rispettare loro e le opere che propongono, anche quando non sono perfette.

Parlando di me, ho un libro pubblicato come ghostwriter, di cui ovviamente non posso parlare, e qualche idea che mi piacerebbe un giorno sviluppare. Sono attratto molto dalla narrativa, dal romanzo non di genere, e dalla poesia.

 Cosa ami di più nel tuo lavoro e cosa vorresti spudoratamente saltare?

Penso che la parte più bella sia lavorare con l’autore, cercare di capire le sue ragioni su una determinata scelta e discutere su possibili migliorie. L’editing spesso richiede anche una buona dose di ricerca e di approfondimenti e permette quindi di continuare a studiare per tutta la vita; quest’idea a me è sempre piaciuta moltissimo.

Inoltre, quando un libro editato da me o da altri editor dell’Agenzia trova un editore o vince un premio, provo quasi la stessa gioia dell’autore, quasi perché il rapporto autore-libro è chiaramente molto più intimo e profondo.

Banalmente invece le questioni più noiose riguardano le fasi burocratiche: lettere d’incarico, fatture, preparazione dei documenti per la presentazione del libro e, poi, lo ammetto, talvolta può capitare di dover leggere un testo tremendo.

 Che peso ha nel tuo lavoro la formazione umanistica e che cosa ha da dire un umanista al mondo (editoriale e non) di oggi? 

La formazione umanistica è un tema sempre attuale e ricco di polemiche. Avendo studiato Lettere con specializzazione in filologia e linguistica ho avuto sicuramente una buona base da cui partire per svolgere questo mestiere. Si affinano le conoscenze grammaticali e sintattiche ma soprattutto si apprendono linguaggi e stili letterari dai grandi autori italiani ed esteri. Tuttavia, oltre a una buona preparazione letteraria e linguistica, nel campo dell’editing è necessaria una buona cultura generale, che si costruisce con gli anni e con costanza.

A ogni modo può essere un buon editor anche un laureato in altre discipline (o cultore della materia) perché padroneggia un linguaggio tecnico e settoriale che potrebbe mancare a un editor con formazione umanistica.

Per esempio, una delle mie collaboratrici è laureata in Beni Culturali e mi affido a lei per una rilettura di controllo prima di consegnare saggi di questo genere.

Per quanto riguarda la seconda domanda, si dice che le scienze umanistiche forniscano, tra le varie competenze, quella della narrazione. Oggi sapere comunicare e raccontare è sempre più fondamentale anche nel campo del business, permette di rendere accessibili perfino concetti astratti, basti pensare ai libri di finanza “per tutti” che semplificano una materia ostica.

Ovviamente in questi tempi credo che ogni forma di conoscenza sia chiamata a collaborare con le altre e non a primeggiare come accadeva un tempo.

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